(Prima edizione 2014)
Storia del sito
Dell’edificio episcopale originario, esistente probabilmente già dal pieno Medioevo, non si conosce la primitiva struttura, anche se recentemente sono stati pubblicati resti pertinenti probabilmente alle fasi tardo-medievali dell’edificio (vd. descrizione dei ritrovamenti). Quando Raffaele Riario divenne vescovo ostiense nel 1511 decise di ampliare l’edificio esistente, probabilmente non più adeguato alle necessità della diocesi, per adeguarlo anche al borgo rinnovato da d’Estouteville. Venne così aggiunta una nuova ala che si inserì tra l’edificio già esistente, le mura cittadine e la chiesa, addossandosi all’angolo sud-orientale delle mura, così da inglobare una delle torri circolari e occludere il fianco destro della chiesa, prima visibile dall’esterno.
Le finestre e le porte del nuovo edificio vennero incorniciate di pietra e su ogni architrave fu posto lo stemma Riario. La sala principale fu decorata con un grande ciclo di affreschi caduti nell’oblio per secoli, fino alla riscoperta avvenuta nel 1979 da parte di padre Geremia Sangiorgi, parroco di Ostia dal 1977, il quale sulla scorta di un passo del Vasari che descriveva delle pitture eseguite da Baldassarre Peruzzi per il cardianle Riario, iniziò la ricerca. Racconta il parroco: “Si dava per certo che questi affreschi fossero andati perduti. Iniziai le mie ricerche, non convinto di ciò. Con un rudimentale bisturi iniziai in piena notte a squamare le varie tinte. Sotto la sesta squama trovai meravigliose figure eseguite con la tecnica dell’affresco. Percorsi tutte le stanze dell’Episcopio e ìn sette di esse trovai tracce di affreschi. Erano ben riconoscibili gli stemmi del cardinal Riarìo e quelli del papa Giulio II. Collegai subito il tutto e conclusi che erano gli affreschi del Peruzzi eseguiti nel periodo in cui era vescovo di Ostia Raffaele Riario (dal 1511) ed allora era pontefice Giulio II (morto nel 1513)“. Vasari, descrivendo minuziosamente il ciclo pittorico, lo attribuiva a Baldassarre Peruzzi e a Cesare da Sesto, ma lo collocava erroneamente nel mastio della rocca di Giulio II. Altri quattro pittori presero parte all’esecuzione, ma si può identificare con certezza solo Domenico Beccafumi. Le scene dei grandi quadri monocromi sono liberamente tratte da episodi della colonna traiana. La scelta tematica aveva il suo riferimento politico nella guerra che il papa combatteva contro i Francesi di Luigi XII, nuovi “barbari” oppressori che occupavano i territori pontifici. Il 27 novembre 1512, a guerra finita, il papa si recò ad Ostia dove ebbe probabilmente modo di ammirare gli affreschi compiuti. Delle pitture si persero le tracce sotto i numerosi strati di calce che le ricoprirono, forse nel corso del XVII secolo, quando l’edificio fu destinato a lazzaretto. Nel 1776 gli affreschi non erano sicuramente più visibili se il cardinale Albani (vescovo di Ostia 1775-1803) fece erigere un tramezzo che divise in due la sala per ricavare uno studiolo, decorato da Domenico Fattori da tempere con motivi di grottesche a fondo bianco che circondavano lunette, clipei o riquadri con scene di paesaggio o mitologiche.
Fase cronologica
L’edificio episcopale doveva già esistere nel medioevo ma non se ne conosce la struttura originaria. Gli affreschi della Sala Riario furono realizzati tra il 1511 (Riario diventa vescovo di Ostia) e il 1513 (morte Giulio II).
Descrizione del sito
L’episcopio attuale è preceduto da un portico secentesco; sulla facciata esterna sono inglobati bassorilievi di epoca romana provenienti dagli scavi di Ostia del cardinale Pacca.
Salendo una rampa di scale si accede agli ambienti dell’ufficio parrocchiale e da qui alla Sala Riario. I restauri, iniziati nel 1979 e portati avanti fino ad anni recenti, hanno ripristinato l’unità dell’ambiente eliminando il tramezzo settecentesco e hanno restaurato gli affreschi cinquecenteschi. Il ciclo pittorico corre lungo tutte le pareti della sala e le scene, facilmente comparabili con episodi della colonna traiana, si leggono in senso orario. Le scene iniziali sulla parete est sono andate perdute. Gli affreschi a monocromo si inseriscono in una partizione architettonica della parete in trompe l’oeil, con finte paraste decorate su fondo rosso, impostate su plinti poggianti a loro volta su un unico basamento di finte lastre marmoree con dischi inscritti da scene o figure a monocromo, ormai quasi del tutto scomparse. Gli stemmi di Riario e di papa Giulio II coprono alcuni capitelli delle lesene. La parete è chiusa in alto da un fregio a onde correnti e girali d’acanto e amorini, in cui sono inseriti i motti di Riario. Questo fregio di coronamento viene attribuito, almeno per la realizzazione dei cartoni, al Peruzzi stesso. Le grandi scene monocrome dovettero essere invece eseguite da collaboratori sulla base di disegni preparatori probabilmente del Peruzzi, che limitò la sua partecipazione diretta. Si distinguono quattro pittori, che riprendono modi e stilemi del maestro. Le uniche mani certamente identificate dai critici sono quella di Cesare da Sesto e di Domenico Beccafumi, il cui stile è evidente nel pannello con i funerali di Traiano. Questa scena è l’unica di cui non esiste un corrispettivo nei rilievi della colonna. Partendo dalla parete est, si possono riconoscere i seguenti episodi: (est) battaglia fra romani e barbari; assedio ad un fortino; (sud) emblemi araldici di Riario e panoplie antiche; (ovest) soggetto non identificabile, forse corteo dell’imperatore Traiano con ritratto di Giulio II; apertura di una breccia nelle mura di una città (Sarmizegetusa); costruzione di un fortino; incitamento di Traiano alla flotta; battaglia fluviale sul Danubio; presentazione a Traiano del bottino di guerra; (nord) fuga dei Daci dal loro territorio; sottomissione dei Daci; funerali di Traiano. Il soffitto cassettonato della sala è ancora in parte originale: durante i restauri sono riaffiorate sotto scialbatura tracce di pittura con motivi floreali e zoomorfi e il motto Riario Hoc opus sic perpetuo.
Descrizione dei ritrovamenti
Affreschi di Baldassarre Peruzzi e collaboratori, Cesare da Sesto, Domenico Beccafumi.
Inglobata nel muro di uno degli ambienti del piano terra che si affacciano sul cortile retrostante la chiesa di Sant’Aurea si conserva una piccola loggia ad almeno quattro arcate in mattoni, realizzata con materiale di reimpiego. Il basamento è costituito da una lastra di marmo di un monumento funerario con tabella riquadrata al centro e due eroti funerari alle estremità, su cui poggiano due colonnine di marmo, una tortile e una decorata con racemi di epoca classica. La loggia, rialzata rispetto al pavimento, è di una tipologia attestata a Roma in abitazioni tardo-medievali.
Nome del rilevatore: Claudia Gioia